Sui rapporti tra concordato preventivo e fallimento
 
Cassazione civile, sez. un., 15 maggio 2015, n. 9936
 
“In pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180, e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo.
La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, né consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente soltanto la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180; il procedimento, pertanto, può essere istruito e può concludersi con un decreto di rigetto.
Tra la domanda di concordato preventivo e l'istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell'art. 273 c.p.c., se pendenti innanzi allo stesso giudice, ovvero l'applicazione delle disposizioni dettate dall'art. 39 c.p.c., comma 2, in tema di continenza e competenza, se pendenti innanzi a giudici diversi”.
 
(massima ufficiale)
 
 
 
 

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